Radio Galgalatz segna l’umore di tutta Israele, come fa sempre.
Da due settimane ormai, la programmazione delle radio dell’esercito (che qui tutti ascoltano prevalentemente per le info sul traffico e i brevi notiziari ogni ora) comprende ore intere di canzoni scelte in alternativa dai soldati riservisti schiacciati contro il confine con Gaza, o dai cittadini del sud. Facile immaginare il tono melodico del risultato.
Dopo una sfilza di canzoni anni ’70 e ’80, Queen, Sting, israeliani mizrachim stile Gigi D’Alessio, e altre canzoni fra il romantico, il nostalgico, e il zuccheroso e basta, smetto di far caso alla musica e noto solo che alle canzoni non si sovrappone più l’allerta di allarme rosso “Zev’a Adom”, anche se sirene a sud oggi – in tregua – se ne sono sentite eccome.
Ci vorrà tempo anche per noi a Tel Aviv, per ritornare alla vita spensierata e iperattiva di prima. Gli autobus stamane erano mezzi vuoti. Io ho preso il taxi, e poi ho camminato molto. Lo sento nei piedi. L’accelerata di una moto potente su Ivn Gvirol somiglia tremendamente all’inizio del suono della sirena. L’attimo di dubbio si cancella solo quando la moto sfreccia, probabilmente inconsapevole. Naturale, si può e si deve razionalizzare: i Fajr iraniani a lunga gittata Hamas li ha con tutta probabilità finiti. E razionale per razionale, è pura follia che siano arrivati fino a Gaza. Vuol dire che davvero fra tunnel e egiziani corrotti quel confine è più che un colabrodo: è un’autostrada.
Pare che nel weekend che inizia stasera molti riservisti avranno il permesso di ritornare a casa. Un sollievo, certo. Infatti: su Galgalatz si sprecano canzoni sul tema del ritorno, sulla fine dell’attesa. Ma il cielo sopra Tel Aviv non ha ancora ritrovato la pace. Aerei ed elicotteri lo riempiono ancora di rumore e di poca serenità. Questa tregua non sa per nulla di fine di una guerra. Sa di minimo contenimento, indispensabile ma temporaneo, dei rifornimenti di missili a Gaza.
Vabè mi concentro sull’ennesima canzone sdolcinata e consolatoria.
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